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Praticità e spontaneità dell’Iperfocale.
Tutte le immagini incluse in quest’articolo sono coperte da copyright da parte dei rispettivi autori.
Sfogliando un volume di fotografie, quale possa essere uno di Yosef Koudelka, Lee Friedlander o Alex Webb, si può avere riprova dell’uso sagace che tali fotografi facevano di uno dei due maggiori elementi tecnici della fotografia stessa: l’apertura focale e l’effetto che ha sulla profondità di campo.
Per quanto io stesso non finisca mai di rimanere affascinato dal capace utilizzo di una ridotta profondità di campo per isolare il soggetto ritratto, ogni situazione necessita di un’attenta valutazione in merito a quali parametri tecnici maggiormente arricchiscano il risultato finale. La presenza di più elementi a fuoco predispone l’osservatore a interpretare la spazialità con la chiave del formato bidimensionale su cui si trova, permettendo all’immaginazione di espandere le dimensioni oltre i confini tipici del mondo reale: il soggetto si immerge nello sfondo, incastonandovici ed arricchendolo; l’occhio non si fa ingannare, ma la prospettiva diventa secondaria alla funzione narrativa di ciò che viene ritratto.
L’EQUILIBRIO NELLA FOTOGRAFIA.
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Nelle poche occasioni in cui mi confronto con altre persone sul rapporto che ciascuno di noi ha con la fotografia, io mi scopro ogni volta essere saldamente ancorato all’associazione di tale mezzo espressivo agli esseri viventi. Per quanto la scelta dei possibili soggetti fotografici sia ampia, solitamente prediligo ritrarre situazioni in cui vi sia un elemento umano. Vengo poco attratto dai miei scatti in cui ve n’è carenza, ma non disprezzo quelli di altre persone che si allontanano da questa mia concezione della fotografia; posso anche esserne molto attratto. La macro-fotografia, così come quella astratta, quella panoramica e i molti altri tipi, è affascinante, ma non si confà alla mia indole: posso apprezzarla, ma non ne produco.
Ultimamente ho letto delle frasi che avevo evidenziato nel libro ‘Sulla Fotografia’ di Susan Sontag e una in particolare si è distinta fra le tante, in quanto affine a questa mia riflessione.
Fotografare una persona equivale a violarla, vedendola come essa non può mai vedersi, avendone una conoscenza che essa non può mai avere; equivale a trasformarla in oggetto che può essere simbolicamente posseduto.
Susan Sontag – Sulla fotografia [Piccola Biblioteca Einaudi]
Questa risuona come una sentenza e ne ha anche l’accezione, fosse anche solo per la scelta drammatica, e forse teatrale, dell’autrice, di utilizzare le parole violarla e posseduto. Non sono loro, però, ad affascinarmi, ma il fatto che condivido molto fortemente il sentore che una persona, in fotografia, posso essere conosciuta dall’autore della fotografia oltre il limite delle normali interazioni umane. La figura, una volta ritratta, viene influenzata dalla fantasia e dall’ottica di chi la osserva, e si eleva a oggetto di interpretazione. Per quanto sia surreale, l’immagine di quella persona trascende la definizione di se stesso e diviene incorporeo. Reciso dalla sua origine diventa idea – in questo caso linee e gradazioni. Questo può essere detto di qualunque forma di arte o di qualsivoglia mezzo espressivo che aspiri a definirsi tale (i.e. arte), ma in questo caso mi soffermerò sulla sua valenza in ambito fotografico.