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La pratica della fotografia ritrattistica si fonda sull’enunciazione del soggetto fotografico in quanto oggetto accentrante, a cui l’attenzione dell’osservatore si concede completamente.
L’immagine delle persona impressa sulla fotografia diviene bidimensionale e si immerge nello sfondo che la circonda. La si può definire univoca ed equivoca nell’atemporalità che la rende strumento storiografico e di finzione: ciò che è su carta potrebbe essere vero o manipolato, ma in entrambi i casi mantiene il valore datogli dai canoni estetici e dall’istinto emotivo dell’osservatore.
Che la persona sia in posa o ritratta nella sua spontaneità, non si può dire che non rappresenti una differenza, ma tale discernimento non è sostanziale. L’immagine di una persona che sorrida, pianga, mostri disrispetto o sorpresa è espressione di una storia a cui si dà ascolto senza distinzione a priori.
Gli approcci possibili sono innumerevoli, ma quasi sempre sono basati sul rapporto che vi è, o che viene ricercato ed imposto, fra soggetto ritratto e sfondo. Quest’ultimo può variare radicalmente nella sua forma e nella sua presenza di contesto o astrazione generalizzante (i.e. uno sfondo monocromatico, modulare o sfocato), sempre però al fine di isolare il soggetto ritratto.
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