Feel free to advance any critique, as all the images included in this article are taken by me. Only two are not, and the author is cited.
It’s been more than two years since I first decided to only shoot film [ITA], and things are yet to be completely mastered. On my way to pursue a personal creative style, I started developing film in bigger batches, and on a steadier routine. I experimented with more developers (i.e. HC-110) – and more will come (i.e. Caffenol C-H) – while I moved to another home. Until the day one thing came: a Durst M605.
In seguito a molteplici anni in cui ho fatto convivere la produzione fotografica digitale con quella analogica, durante il mese di settembre 2014 ho deciso di dare forma ad una voce univoca. Non tanto perché sazio di un dato elemento intrinseco della più moderna delle due pratiche, né per un moto di antagonismo e ribellione contro quell’innovatività che inarrestabile non è, ma che segue il decorso naturale della progressione umana e che per tale ragione non deve essere condannata; ho preso tale decisione perché ho guardato alle mie spalle e, certo di trovarvi le mie orme, ho visto perlopiù fotografie che non avevano modo di entusiasmarmi. Se non erano in grado di suscitare alcun moto d’animo in me – per quanto dedito all’auto-critica, pur sempre loro predatore e naturalmente afflitto da una sana immodestia – non vi è modo di credere che possano avere valore alcuno.
Tutte le fotografie incluse in quest’articolo sono coperte da copyright da parte dei rispettivi autori.
Nelle poche occasioni in cui mi confronto con altre persone sul rapporto che ciascuno di noi ha con la fotografia, io mi scopro ogni volta essere saldamente ancorato all’associazione di tale mezzo espressivo agli esseri viventi. Per quanto la scelta dei possibili soggetti fotografici sia ampia, solitamente prediligo ritrarre situazioni in cui vi sia un elemento umano. Vengo poco attratto dai miei scatti in cui ve n’è carenza, ma non disprezzo quelli di altre persone che si allontanano da questa mia concezione della fotografia; posso anche esserne molto attratto. La macro-fotografia, così come quella astratta, quella panoramica e i molti altri tipi, è affascinante, ma non si confà alla mia indole: posso apprezzarla, ma non ne produco.
Ultimamente ho letto delle frasi che avevo evidenziato nel libro ‘Sulla Fotografia’ di Susan Sontag e una in particolare si è distinta fra le tante, in quanto affine a questa mia riflessione.
Fotografare una persona equivale a violarla, vedendola come essa non può mai vedersi, avendone una conoscenza che essa non può mai avere; equivale a trasformarla in oggetto che può essere simbolicamente posseduto.
Susan Sontag – Sulla fotografia[Piccola Biblioteca Einaudi]
Questa risuona come una sentenza e ne ha anche l’accezione, fosse anche solo per la scelta drammatica, e forse teatrale, dell’autrice, di utilizzare le parole violarla e posseduto. Non sono loro, però, ad affascinarmi, ma il fatto che condivido molto fortemente il sentore che una persona, in fotografia, posso essere conosciuta dall’autore della fotografia oltre il limite delle normali interazioni umane. La figura, una volta ritratta, viene influenzata dalla fantasia e dall’ottica di chi la osserva, e si eleva a oggetto di interpretazione. Per quanto sia surreale, l’immagine di quella persona trascende la definizione di se stesso e diviene incorporeo. Reciso dalla sua origine diventa idea – in questo caso linee e gradazioni. Questo può essere detto di qualunque forma di arte o di qualsivoglia mezzo espressivo che aspiri a definirsi tale (i.e. arte), ma in questo caso mi soffermerò sulla sua valenza in ambito fotografico.